Il cibo, oltre che produttore di energia per la sopravvivenza, è veicolo di emozioni che impregnano l’evoluzione psichica di un individuo. La relazione d’oggetto, lo strutturarsi del legame, passano attraverso il cibo con cui madre e bambino vengono a contatto, scambiando stati affettivi differenti (Baldassarre, 2012). Il cibo si rivela un momento di condivisione tra madre e bambino, una comunicazione emotiva profonda che “passa” al di là del comportamento fisico del nutrire al dare affetto.
Spesso, l’attenzione eccessiva alla dieta e all’alimentazione può diventare un meccanismo di fuga per affrontare le tensioni personali che l’individuo non riesce ad elaborare in altre modalità. È significativo notare che le problematiche legate all’alimentazione spesso emergono in due fasi cruciali dello sviluppo: l’infanzia e l’adolescenza. Durante l’infanzia, l’individuo ha una relazione stretta con il cibo e l’oggetto materno, mentre durante l’adolescenza, il processo di crescita e il lavoro di elaborazione dei cambiamenti fisici possono riportare in primo piano le esperienze affettive passate vissute con l’oggetto materno. In realtà, le forme patologiche legate all’alimentazione possono risalire addirittura alla primissima infanzia, alla relazione madre-bambino e alle sue distorsioni (Baldassarre, 2012).
La qualità emotiva associata ai pasti contribuisce a creare un ambiente affettivo che nutre la mente e stimola le potenzialità biologiche dell’individuo. Tuttavia, nelle persone affette da disturbi alimentari, si manifesta spesso una percezione alterata della fame. Questi individui concentrano la loro attenzione esclusivamente sull’alimentazione, trascurando i conflitti emotivi sottostanti.
Anoressia
L’anoressia è caratterizzata da un rifiuto sistematico del cibo che provoca un marcato dimagrimento. Colpisce prevalentemente il sesso femminile ed inizia in età puberale, rappresenta certamente una patologia ormai al confine della psicosi. E questo non soltanto per la gravità della sintomatologia che può portare le giovani pazienti a quadri di inedia molto gravi ma anche per il particolare tipo di disturbo che ha molto in comune con i quadri deliranti.
Infatti, possiamo dire che nella anoressia mentale lo schema corporeo è alterato al punto tale da far ritenere non esistere più in queste pazienti un corretto esame della realtà (Lalli, 1999). Il problema centrale dell’anoressia, quindi, non è tanto un disturbo alimentare quanto, piuttosto, un disturbo complesso che riguarda la visione del proprio corpo e l’utilizzazione perversa che l’anoressica fa del proprio corpo emaciato esibito con apparente autonomia, ma che invece viene usato come controllo dell’ambiente circostante. Nel colloquio attento con le anoressiche compaiono in loro timori o angosce ingiustificate di poter ingrassare ma soprattutto colpisce l’assoluta e irrazionale convinzione di essere sovrappeso (pur avendo un peso già al di sotto della media). Esse manifestano spesso la necessità di dimagrire ulteriormente.
Secondo Lalli, i segni caratteristici dell’anoressia mentale sono:
– una visione delirante della propria immagine corporea
– una alterazione nella percezione degli stimoli della fame
– una totale mancanza di consapevolezza di malattia
– una apparente mancanza di ansia ma c’è angoscia molto profonda allorché queste pazienti, con il ricovero, sono costrette a mangiare
– l’anoressica esprime una incapacità di assumere il ruolo sessuale e di integrare le trasformazioni della pubertà
– il conflitto centrale si situa al livello dell’immagine corporea e non al livello delle funzioni alimentari
– l’immagine corporea subisce una distorsione che è molto simile ad una visione delirante
In ragione di questa equivalenza simbolica della madre con il nutrimento, il rifiuto del cibo è visto come una forma di rifiuto della madre stessa, per affermare la propria indipendenza nei suoi confronti. Se, da una parte, il rifiuto del cibo è vissuto come segno di autonomia, dall’altra le anoressiche cercano di manipolare e controllare l’ambiente familiare attraverso l’esibizione di un corpo emaciato che è fonte di angoscia e di preoccupazione per i genitori.
Nella storia di pazienti sofferenti di disturbo alimentare si osserva molto spesso che per anni si sono uniformati in tutto, pensieri e comportamento alle richieste familiari e pur di condividere l’assenso molto presto, ancora bambini hanno iniziato a rinunciare a una parte di sé stessi, diventando una estensione artificiosa della madre narcisistica da cui non riescono ad emanciparsi per costruirsi una propria identità una volta divenute adulte (Baldassarre 2012).
L’anoressica è stata una bambina assai docile, obbediente alle richieste materne, che ha cercato di realizzare passivamente i suoi bisogni narcisistici tralasciando i propri.
Si scopre inoltre che dietro la mancanza di appetito si nasconde un digiuno auto imposto e compulsivo. L’anoressica tenta di distruggere attraverso il digiuno i caratteri sessuali che il corpo acquisisce, cercando in qualche modo di prolungare l’infanzia e quindi la dipendenza dalla madre da cui non riesce a separarsi.
Bulimia
La bulimia è un disturbo del comportamento alimentare che si manifesta con una voracità eccessiva e patologica nel mangiare, spesso seguita da comportamenti di autoinduzione del vomito o l’uso di lassativi. I sintomi principali includono:
– Abbuffate Ricorrenti: Queste si caratterizzano per un eccessivo consumo di cibo e una perdita di controllo durante il pasto, con difficoltà a monitorare la quantità e il tipo di cibo ingerito.
– Comportamenti di Compensazione: I pazienti ricorrono a comportamenti come il vomito autoindotto o l’uso di lassativi per prevenire l’aumento di peso in seguito alle abbuffate.
– Preoccupazione per il Peso Corporeo: La preoccupazione e l’ansia legate al peso corporeo diventano centrali nella vita dei soggetti bulimici, influenzando la loro autostima e l’immagine di sé.
Il soggetto bulimico sente il bisogno compulsivo di riempirsi per poi svuotarsi provocando il vomito. Attraverso il cibo tenta di riempire un senso di vuoto provocato dall’aver sperimentato nell’infanzia una madre poco concentrata sui loro bisogni, o altre situazioni che hanno fatto sì da non aver mai potuto sperimentare un legame affettivo di “appoggio”. Da adulti tendono a reprimere i sentimenti di rabbia e tensione provati a causa dello scarso accudimento che poi tendono a scaricare attraverso le “abbuffate”.
Obesità psicogena
L’obesità è un aumento patologico dei depositi adiposi che può compromettere seriamente la salute di un individuo, portando a un eccessivo aumento di peso. Un elemento importante da considerare è l’ambiente familiare in cui vive il soggetto. Spesso, ciò si verifica in contesti familiari in cui i figli vengono coinvolti o strumentalizzati per compensare le insoddisfazioni e le frustrazioni sociali dei genitori.
L’iperalimentazione è un tentativo incongruo di dare qualcosa in più ai figli ma anche inconsciamente quello di renderli dipendenti. Questo spiega, poi, la scarsa propensione che tali soggetti hanno nell’affrontare la vita sociale (Lalli, 1999).
La madre, incapace di fornire sicurezza ed affetto in modo adeguato, può cercare di compensare questa mancanza attraverso l’iperalimentazione. Questo ambiente familiare può essere caratterizzato da un continuo timore dell’allontanamento del figlio, il che può portare la madre a impedire al bambino qualsiasi forma di autonomia, inclusi l’interazione sociale e l’attività fisica.
La madre alterna momenti di dedizione a momenti di rifiuto del figlio. Il bambino cresce in un ambiente insicuro e ricco di messaggi incoerenti, trova difficoltà a discernere ciò che è essenziale per lui; quindi, è costretto a sottovalutare la propria esistenza e, conseguentemente, la sua individualità. L’obeso vive in un clima di una pseudoarmonia che è l’espressione di una eccessiva protezione e di una incapacità di risolvere i conflitti ed è questa mancanza di autonomia e libertà, unita ad una mancanza di identità, una caratteristica peculiare dell’obeso.
Si osserva negli obesi la tendenza a non poter esprimere minimamente una opposizione, non riescono a dire di no, non sanno rifiutare le situazioni e “ingoiano”. Temono che ogni rifiuto sia pericoloso e distruttivo, come hanno appreso nella dinamica del rapporto familiare (Lalli, 1999). Il cibo ha un po’ una funzione di un oggetto sostitutivo che solo in apparenza dovrebbe renderli autonomi rispetto ai rapporti interpersonali. Gli obesi hanno la tendenza a crearsi un falso sé in cui nascondere un Io debole, dipendente e insicuro.